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RIFLESSIONI INTORNO ALLA STORIA E AL MESTIERE DELLO STORCO
«Che cos’è la storia? Qual è la sua utilità?». Alcune delle domande più comuni che mi sono state rivolte da quando svolgo la professione di storico sono proprio queste.

Per capire a cosa serve la storia dobbiamo innanzitutto provare a definirla, o quanto meno definirne i caratteri fondamentali e l'ambito di indagine. Come affermava March Bloch, in un celebre discorso ai propri studenti,

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Il passato costituisce la materia del mio insegnamento. Io vi narro battaglie cui non ho assistito, vi descrivo monumenti scomparsi ben prima della mia nascita, vi parlo di uomini che non ho mai visto. La situazione in cui mi trovo è quella di tutti gli storici. Noi non abbiamo una conoscenza immediata e personale degli avvenimenti di un tempo, paragonabile a quella che il vostro professore di fisica ha, per esempio, dell’elettricità. Non sappiamo nulla, su di essi, se non per i racconti degli uomini che li videro compiersi (M. Bloch, Critica storica e critica della testimonianza. Discorso tenuto nel 1914 in occasione della distribuzione di premi agli alunni del liceo di Amiens).

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La storia è la conoscenza scientificamente e criticamente elaborata del passato, in funzione di un metodo sistematico e rigoroso. Non si tratta dunque di un semplice calco del passato realmente vissuto, ma di una riflessione e di un approfondimento che tentano di cogliere i fatti nella loro complessità e problematicità. Per questo motivo lo storico si appropria del passato senza farsene contemporaneo. Anche perché è sempre un impulso che proviene dal presente e dal contesto in cui viviamo che ci spinge a indagare ciò che è accaduto cento, mille o un milione di anni fa. Ogni storia, dunque, diventa storia contemporanea, come evidenziava la lucida analisi di Benedetto Croce (B. Croce, Teoria e storia della storiografia).

Nondimeno, queste affermazioni ci permettono di fare luce su un altro aspetto chiave del mestiere dello storico, ovvero il rapporto tra l’onestà intellettuale e scientifica e la questione della soggettività del punto di vista e dell’approccio al passato. Uno dei problemi più discussi e controversi dell’analisi storiografica, è evidenziato da Fernand Braudel:

 

Urge che lo storico, nell’atto stesso di iniziare un libro o un discorso, si spogli di se stesso, eserciti su di sé una sorveglianza continua, indichi esplicitamente la propria posizione personale (F. Braudel, Storia, misura del mondo)

 

Questo non vuol dire che lo storico è imprigionato nella sua soggettività, ma che la storia si risolve nel rapporto stabilito tra il piano del passato e quello del presente storico. Il passato è un dato immodificabile, ma la conoscenza del passato è un processo in continua evoluzione, che si trasforma e si perfeziona incessantemente. Ancora più significative sono le parole di Gaetano Salvemini:

 

Scrivendo questo libro, ho sempre avuto presente allo spirito l’idea che il lettore non era per nulla tenuto a credermi su parola e che, anzi, aveva perfino il diritto di non credermi affatto […]. Io non so se colui che scrive su problemi contemporanei […] può essere imparziale. Dubito perfino che quanti scrivono su avvenimenti lontanissimi da noi […] possano esserlo. Chi si crede imparziale, il più delle volte è uno sciocco. Chi si proclama imparziale è quasi un uomo in cattiva fede che cerca d’ingannare il suo pubblico, lupo in veste d’agnello. Noi possiamo essere soltanto intellettualmente probi, renderci cioè conto delle nostre passioni, prendere le nostre misure contro di esse, ed avvertire dei pericoli verso i quali li porta la nostra parzialità. L’imparzialità è un sogno; la probità un dovere (G. Salvemini, Prefazione a Mussolini diplomatico)

 

La storia dunque è vera, la sua verità è autentica e scientifica, sebbene sia parziale. Pertanto, non è che gli storici non mirano alla verità, ma difficilmente ritengo che possa essere raggiunta e data come definitiva, se per verità storica intendiamo la ricostruzione articolata e completa di una vicenda e del ruolo svolto da tutti gli attori in campo (del tutto diverso il discorso per la verità teologica o filosofica).

In ultima analisi, dunque, torna la domanda di fondo con la quale ho aperto questa riflessione ovvero «Che cos’è la storia? Qual è la sua utilità?».

La storia è il luogo privilegiato in cui gli uomini hanno percezione della propria esistenza e della propria identità. La storia è lo spazio ideale in cui ciascun individuo si confronta con se stesso e con l’umanità intera, in cui prende coscienza dell'evoluzione umana, e, soprattutto, in cui percepisce se stesso come cittadino. Per questo motivo dunque la storia diventa strumento di libertà. La storia non è un giudizio, ma permette a ciascuno di noi di esprimere giudizi, di sviluppare uno spirito critico.

Siamo quindi assai lontani dalla concezione della storia come somma di fatti o di episodi. La storia non si riduce all’esatto racconto di azioni, discorsi o atteggiamenti di un più o meno ristretto numero di personaggi all’interno di una cornice cronologica ben definita. La ricerca storica e l’insegnamento della storia sono qualcosa di molto più profondo e complesso, e soprattutto, lasciatemelo dire, molto più affascinante!

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